Qualche giorno fa un caro amico sulla soglia della cinquantina mi ha detto: ‘…certo che i Depeche sono sempre i Depeche…’.
Lungi da me provare a contrariare l”entusiasmo di un fan attempato nel pieno di una vera e propria crisi da seconda giovinezza, ma pensare che da ‘Speak & Spell’ a oggi nulla sia cambiato, sarebbe come dire che più di trent’anni sono trascorsi invano, e un vero fan non può, a mio avviso, ridurre il suo giudizio a una simile banalità, specie il fan di un gruppo che di banale non ha proprio nulla.
DELTA MACHINE, uscito in sul finir dello scorso marzo è il tredicesimo album in studio del gruppo di Basildon, e non è etichettabile superficialmente come il solito lavoro techno-pop ben confezionato (e se qualcuno pensa il contrario, forse è meglio che si rechi d’urgenza da un otorino.
Annunciato dal singolo ‘Heaven’, tutto lasciava presagire che questa volta i DM avessero pensato di ammorbidire un po” i toni e che, pur rimanendo nell”ambito di suoni cupi e profondi come un abisso, avessero deciso di sposare un filone più orecchiabile e di facile presa per gli abitanti del pianeta Terra. Pensieri subito smentiti al primo ascolto dell”opera completa.
Tutto ha inizio con il benvenuto di ‘Welcome to My World’ (…benvenuti nel mio mondo / lasciare i tranquillanti a casa / non ne avete più bisogno). Come no! Se non ci si tiene ben stretti alla maniglia della Machine, si corre il rischio di esserne catapultati fuori e di perdersi il resto del viaggio che non intendo in alcun modo raccontarvi perché vi toglierei gran parte del piacere.
Unico suggerimento: se soffrite di vertigini non dimenticate di prendere la vostra pastiglia e soprattutto… allacciate le cinture!